sabato 28 luglio 2012

La mafia c'è, ma l'Emilia ha gli anticorpi: forti dichiarazioni di Benny Calasanzio Borsellino e Salvatore Bosellino ieri sera al Teatro della Rocca di Novellara



Ieri sera al Teatro della Rocca di Novellara, Salvatore Borsellino e Benny Calasanzio Borsellino hanno intrattenuto i cittadini novellaresi sulla loro amicizia accomunata da un triste destino di mafia. Con la conferenza-spettacolo Emilia, Terra di mezzo”, NoveTeatro ha concluso il ciclo degli eventi di “Teatro e Legalità: linguaggio antico per un’educazione moderna”, progetto teatrale di NoveTeatro per parlare di legalità e di lotta alla criminalità organizzata, sostenuto dalla Provincia di Reggio Emilia e dalla Regione Emilia Romagna. NoveTeatro  durante la serata, per coronare il suo impegno di promozione sociale ha ricevuto dal comune di Novellara, per mano del sindaco Raul Daoli, l’attestato di benemerenza per l’innovazione e la creatività sul territorio.


Ospite d’onore della serata, l’ing.Salvatore Borsellino ha portato la sua testimonianza in collegamento in video-conferenza in occasione delle celebrazioni del ventesimo anniversario della strage di via D’Amelio, in cui il fratello Paolo ha trovato la morte. "è tanto - dice il fratello del noto magistrato -che cercavano di mandarmi un giornalista per scrivere un libro. Non avrei mai potuto scriverlo da solo, perché non sarei mai riuscito a mettere la parola Fine alla vicenda di via d’Amelio. La verità non è ancora a galla. I responsabili non sono solo mafiosi, ma pezzi dello Stato." Racconta poi di come, dopo la morte di Paolo, sembrasse essersi innescato un cambiamento verso il cancro della criminalità organizzata. Ma aggiunge anche la sua forte delusione, di come ha perso la speranza nel constatare che tutto questo era solo un'illusione, che il sogno di Paolo di cambiare il Paese era ancora lontano
"Dopo dieci anni di silenzio, e la fuga da Palermo ho ricominciato a parlare per rabbia. Ma dopo l'incontro con è successo qualcosa: grazie ai giovani, come Benny, ho capito cosa era la speranza, l’ottimismo di Paolo: lui sperava che i giovani avrebbero continuato la sua lotta per cambiare il Paese. Allora insieme a Benny ho voluto lasciare la mia storia nelle mani delle nuove generazioni. Ho scelto Benny, perché ho voluto dare la possibilità anche a lui di riscattarsi." Benny Calasanzio ha perso il padre e lo zio freddati ingiustamente dalla mafia. 
E sulla strage di via d'Amelio ci offre un punto di vista alquanto allarmante: "Anche Ingroia dice che oggi i magistrati sono arrivati all’anticamera della verità. In Italia gli unici magistrati buoni sono eroi, perché sono stati ammazzati." Ma chiude con un messaggio di speranza per le nuove generazioni: "Io fino all’ultimo giorno della mia vita (riprendendo il titolo del libro appena pubblicato a quattro mani con Benny Calsanzio, Fino all'ultimo giorno della mia vita, Aliberti Editore) perseguirò il sogno di Paolo, la giustizia e la verità e sarò contento perché dopo di me i giovani porteranno avanti il mio progetto.



Benny Calasanzio Borsellino, giornalista freelance, racconta la sua storia segnata indelebilmente da cosa nostra. "Grazie a Aliberti ho potuto raccontare una storia. Tutti voi siete convinti che il 19 luglio morisse un unico Borsellino, ma in realtà prima di Paolo Borsellino, moriva Paolo, mio zio, 32 anni, un imprenditore con due figli piccoli, tanta voglia di ridere e vivere. Quando cosa nostra è andata nella sua proprietà, lui li ha cacciati.Venne ucciso poco dopo con una fucilata al cuore. Il caso fu affidato a un magistrato, Paolo Borsellino." Anche il nonno non cede alle pressioni mafiose e non riesce a sopravvivere al figlio. "Mentre lo Stato era impegnato in altro, nel 1992, mio nonno viene raggiunto in piazza da una moto che lo fredda con una mitraglietta.La mafia aveva dimenticato che c’eravamo noi. Noi non siamo le vittime, ma i vincitori di questa lotta. 


Rispetto al libro Fino all'ultimo giorno della mia vita, Aliberti Editore il giovane giornalista dice: "mi sento un privilegiato, perché sono l’unico riuscito a convincere Salvatore. Cercavo qualcuno che avesse la mia rabbia, cercavo qualcuno con cui condividere la mia situazione di essere un superstite di una famiglia cancellata."
Salvatore non voleva combattere, ma sconfiggere. Ed è questo il motto che dobbiamo adottare noi, per non lasciare che le nostre vite siano inutili nelle mani di associazioni a delinquere che vogliono inquinare la tranquillità del nostro territorio. Benny ha sollevato il caso che ha riempito le recenti cronache di Novellara:  l’azienda della Bacchi Spa, che stava costruendo il terzo stralcio della Tangenziale di Novellara ma che non ha avuto dalla Prefettura il certicato antimafia: "chi dice che qui c’è la mafia ha ragione, ma avete anche gli anticorpi: la prefettura sta facendo un ottimo lavoro." 

Un messaggio rassicurante per le nostre istituzioni locali, galvanizzate a continuare sulla strada di verità e chiarezza e lotta all'omertà. 

mercoledì 25 luglio 2012

Emilia, Terra di mezzo: Benny Calasanzio Borsellino e Salvatore Borsellino in conferenza al Teatro di Novellara


Venerdì 27 luglio alle ore 21,30 presso il Cortile della Rocca di Novellara si terrà Emilia, Terra di mezzo, una conferenza-spettacolo che concluderà il ciclo degli eventi di “Teatro e Legalità: linguaggio antico per un’educazione moderna”, progetto teatrale di NoveTeatro per parlare di legalità e di lotta alla criminalità organizzata, sostenuto dalla Provincia di Reggio Emilia e dalla Regione Emilia Romagna.

La serata si aprirà con la proiezione del filmato sugli spettacoli realizzati negli istituti superiori della provincia e sulla tournée degli spettacoli itineranti di piazza che si sono tenuti nei vari Comuni aderenti.
Ospite d’onore della serata sarà l’ing. Salvatore Borsellino, che porterà la sua testimonianza in collegamento in video-conferenza in occasione delle celebrazioni del ventesimo anniversario della strage di via D’Amelio.
Sul palcoscenico interverrà anche il giovane giornalista Benny Calasanzio Borsellino, co-autore insieme a Salvatore Borsellino di Fino all’ultimo giorno della mia vita” edito da Aliberti Editore


Il libro narra di come un magistrato sia diventato un personaggio pubblico per il suo coraggioso impegno contro la mafia e raccoglie i ricordi di vita dei due amici, che condividono il dolore di essere parenti di vittime di mafia. Una vita iniziata sotto le bombe degli Alleati nella Palermo del 1942, poi sconvolta dall’autobomba che causò la strage di via D’Amelio il 19 luglio 1992.
Sul palcoscenico interverranno Raul Daoli (sindaco di Novellara), Alberto Borghi (sindaco di Bomporto), Franco Corradini (assessore alla coesione e sicurezza sociale di Reggio Emilia) e Youssef Salmi (assessore all’associazionismo, volontariato e giovani del comune di Novellara), si interfacceranno sul tema della legalità per cercare insieme una risposta comune alla criminalità organizzata. Gli ospiti saranno moderati dal direttore artistico di NoveTeatro Domenico Ammendola, che raccoglierà le loro esperienze relative a pressioni mafiose e contatti con l’illecito per riuscire a delineare insieme le fondamenta di un nuovo senso civico e di una sensibilità maggiore verso le regole del vivere comune e verso la lotta alle mafie.

Ai rappresentanti degli enti coinvolti che hanno collaborato e sostenuto NoveTeatro verrà rilasciata una pubblicazione con dvd allegato a testimonianza dell’intero progetto“Teatro e Legalità”.
  

venerdì 20 luglio 2012

Diaz: dopo 11 anni il film di Vicari fa luce sui fatti del G8 di Genova

Ieri sera presso il Cortile della Rocca di Novellara è stato proiettato "Diaz: don't clean up this blood", film premiato dal pubblico al 62° Festival di Berlino con Elio Germano, Jennifer Ulrich e Claudio Santamaria. In contemporanea, all'Arena Puccini di Bologna  la stessa pellicola di Daniele Vicari è stata introdotta dal giornalista del QN quotidiano nazionale Lorenzo Guadagnucci, uno dei testimoni dei cruenti fatti accaduti la sera del 21 luglio 2001 in occasione del G8 di Genova.



In quella sera verso le 24 nella scuola Diaz, uno dei centri del coordinamento del Genoa Social Forum guidato da Vittorio Agnoletto, faceva irruzione il VI Reparto mobile di Genova della Polizia di Stato più altri Reparti di supporto della stessa Polizia di stato, oltre ai Carabinieri. Furono fermati 93 attivisti e furono portati in ospedale 61 feriti, dei quali 3 in prognosi riservata e uno in coma, per cui finirono sotto accusa 125 poliziotti, compresi dirigenti e capisquadra. 



Dopo 11 anni ancora nessuno ha realmente pagato per quello che fu definito dal vicequestore Michelangelo Fournier un "selvaggio pestaggio" da macelleria messicana. In secondo grado la Corte d'appello di Genova contesta la ricostruzione del tribunale: "non è possibile descrivere i fatti in esame come la somma di singoli episodi delittuosi occasionalmente compiuti dagli operatori indipendentemente l’uno dall’altro in preda allo sfogo di bassi istinti incontrollati; al contrario, trattasi di condotta concorsuale dai singoli agenti tenuta nella consapevolezza che altrettanto avrebbero fatto e stavano facendo i colleghi, coerente con le motivazioni ricevute dai superiori gerarchici e con l’esplicito incarico di usare la forza per compiere lo sfondamento e l’irruzione finalizzati all’arresto di pericolosi soggetti violenti, senza alcuna preventiva o successiva forma di controllo sull’uso di tale forza.
La responsabilità di tale condotta e, quindi, delle lesioni inferte, è pertanto ravvisabile in capo ai dirigenti che organizzarono l’operazione e che la condussero sul campo con le modalità e le finalità sopra descritte."




Solo lo scorso 5 luglio 2012 arriva la sentenza definitiva: la Cassazione conferma in via definitiva le condanne per falso aggravato, confermando l'impianto accusatorio della Corte d'Appello. Convalida così la condanna a 4 anni per Francesco Gratteri, attuale capo del dipartimento centrale anticrimine della Polizia; convalida anche i 4 anni per Giovanni Luperi, vicedirettore Ucigos ai tempi del G8, oggi capo del reparto analisi dell'Aisi. Tre anni e 8 mesi a Gilberto Caldarozzi, attuale capo servizio centrale operativo.Il capo della squadra mobile di Firenze Filippo Ferri è stato condannato in via definitiva per falso aggravato, a 3 anni e 8 mesi e all'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. In parte convalidata (3 anni e 6 mesi) anche la condanna a 5 anni per Vincenzo Canterini, ex dirigente del reparto mobile di Roma, essendosi prescritto il reato di lesioni gravi la cui presenza aveva portato alla condanna da 5 anni in appello. Prescrive, invece, i reati di lesioni gravi contestati a nove agenti appartenenti al settimo nucleo speciale della Mobile all'epoca dei fatti.


Nonostante che l'avvocato dello stato abbia ammesso le violenze della Polizia "L'operato della polizia fu grave. Inaccettabile che dei ragazzi vennero feriti", nessuno degli imputati è mai stato sospeso dal servizio.


Dura lex, sed lex.










mercoledì 18 luglio 2012

Strage di via d'Amelio: vent'anni di verità nascoste

Oggi è il ventennale della strage di via d'Amelio in cui il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta hanno perso la vita: il 19 luglio del 1992 ha macchiato indelebilmente con il sangue la storia della politica italiana. 
A Palermo sono arrivati da tutta Itala in commemorazione del giudice ucciso dalla mafia, e come ogni anno a simbolo della loro battaglia alla ricerca della verità hanno scelto l'agenda rossa, il diario personale del magistrato misteriosamente sparito dopo l'attentato. Oggi il ''Popolo delle Agende Rosse'' si e' dato appuntamento davanti al tribunale di Palermo. ''Siamo qui - dicono - perche' Paolo si ricorda anche manifestando solidarieta' ai pm di Palermo che indagano sulla trattativa Stato-mafia''. Sugli striscioni che hanno affisso si legge: ''difendiamo chi indaga sulla trattativa Stato-mafia''.
Per capire la genesi del movimento spontaneo del "Popolo delle Agende Rosse" leggiamo le parole di Benny Calasanzio Borsellino  in un'intervista su Amedit Magazine di cui riportiamo un estratto: 


Cosa ti ha spinto a fondare con Salvatore (ndr. Borsellino) il “Popolo delle Agende rosse” e quale il bilancio che si può trarre dall’azione di questo movimento?

Le Agende Rosse in realtà sono nate in autonomia. Io e Salvatore abbiamo iniziato a girare l’Italia insieme, lui a raccontare una storia troppo conosciuta e io una troppo poco conosciuta. Sempre più persone hanno iniziato a venire ai nostri incontri e in poco tempo ci siamo trovati ad avere problemi di sedie! Ci siamo trovati, ci siamo voluti bene e oggi siamo inseparabili, nonostante lui abbia circa 40 anni in più di me. Grazie agli uomini e alle donne delle Agende Rosse oggi in Italia c’è una coscienza critica che conosce, che sa, che non può più essere presa in giro. In alcuni casi sulla strage di Via d’Amelio sanno molto di più le Agende Rosse che gli addetti ai lavori.

A Borsellino il Comune di Palermo titolerà l'atrio della biblioteca comunale, mentre a tutti coloro nati il 19 luglio 1992 l'amministrazione ha regalato dei block notes con l'elenco di tutte le vittime della mafia dal 1893 a oggi. 


Ma la verità quando emergerà?

mercoledì 11 luglio 2012

Trattativa Stato-Mafia: Nicolò Amato racconta la sua versione

Nicolò Amato, l’ex capo del Dipartimento dell’ Amministrazione Penitenziaria (Dap), nel suo libro I giorni del dolore. La notte della ragione. Stragi di mafia e carcere duro (Armando Editore) ha ricomposto dopo diciannove anni una pagina di storia della patria rimasta nell’oblio. Secondo il Professore, Cosa Nostra chiese la sua testa e dalla parte dello Stato qualcuno gliela concesse nel giugno del ’93. "La mafia ha voluto la mia testa per la durezza della mia politica carceraria nei confronti della criminalità organizzata: i documenti in mio possesso dimostrano che la richiesta è stata sostanzialmente accolta con la mia destituzione il 4 giugno del 1993, non so per responsabilità di chi, ma certamente allo scopo di evitare ulteriori stragi”. 

Qualche mese prima dell’avvicendamento la mafia inviò una lettera anonima a Oscar Luigi Scalfaro, l’allora presidente della Repubblica, invitandolo a rimuovere “il dittatore Amato e gli scherani al suo servizio”. Scalfaro non fu il solo a ricevere la lettera, la ricevettero anche le autorità interessate dalle stragi dell’estate del 1993. Un documento simile era stato inviato anche al papa Giovanni Paolo II, dopo l’attentato alla chiesa di San Giorgio al Velabro e San Giovanni a Roma, e al cardinale di Firenze dopo la strage in via dei Georgofili; cioè alle Autorità maggiormente interessate ai luoghi oggetto degli attentati. “Coincidenze molto strane”, dice ancora l’ex capo del Dap.
Il Professore ha dipinto uno scenario inquietante: un presidente della Repubblica italiana ha accettato di ridurre gli effetti del 41 bis per compiacere la mafia.



"Certo, se una trattativa vi è stata, io ne sono stato la prima vittima. E peraltro, più che di una trattativa vera e propria si è trattato di una sorta di tacita intesa – addebitabile non so a chi – sulla base di una pressione e di una richiesta esplicita della mafia, espressa nella lettera inviata alla fine del febbraio del 1993 al presidente Scalfaro. E a questa pressione della mafia, rafforzata dallo scenario delle stragi che si prospettavano sullo sfondo, è stata data, sostanzialmente, una risposta positiva, con la mia destituzione”.

La mafia cosa vuole da Scalfaro? “Per Cosa Nostra ero ormai diventato “insopportabile”, avevo applicato il 41 bis a tutti i detenuti mafiosi con un minimo di rilievo criminale: alla fine del mio mandato nelle carceri c’erano più di millequattrocento detenuti sottoposti al 41 bis. Subito dopo la mia destituzione, la politica penitenziaria italiana è mutata, è diventata più morbida: sono cominciate le revoche e i mancati rinnovi del 41 bis, tanto che in pochissimo tempo i detenuti di mafia sottoposti al carcere duro da oltre millequattrocento sono diventati meno di quattrocento”.

Una vera rivoluzione, cosa può essere successo? “Il 4 giugno del 1993 sono uscito dal ministero della Giustizia e solo da poco sono riuscito a ricostruire i fatti: non facevo più parte delle istituzioni, quindi non avevo la possibilità di sapere. Solo di recente ho scoperto che a partire dal 26 giugno del 1993 vi sono quattro o cinque appunti del Dap, firmati dai miei successori, in cui si prospetta al ministro della Giustizia una politica più morbida che si preoccupa espressamente di ‘non acuire la tensione all’interno degli istituti di pena’. Ed è una politica che prevede una progressiva diminuzione del numero dei detenuti sottoposti al carcere duro”.

Nel suo libro si descrive una procedura molto particolare: si dice che una volta ricevuta la lettera, il Presidente della Repubblica convocò il capo dei cappellani carcerari monsignor Curioni, e comunicò che il suo tempo al Dap era scaduto, e quindi invitò Curioni a collaborare con il ministro della giustizia Conso nella ricerca del suo sostituto.“Proprio dopo questo colloquio fu comunicato al ministro Conso che dovevo lasciare il Dap. Eppure si trattava di materia che non rientra nella competenza del presidente della Repubblica, ma piuttosto del ministro della Giustizia e del Governo. C’è un particolare inquietante: monsignor Curioni, primo destinatario della decisione della mia destituzione, era la medesima persona che al tempo del sequestro Aldo Moro era stata incaricata dal pontefice Paolo VI di mediare con i brigatisti rossi detenuti in carcere una sua liberazione”.

Con il ministro Claudio Martelli il rapporto era invece eccellente. "Lui ha firmato a mia richiesta, nel luglio del 1992, 532 decreti 41 bis per detenzione di detenuti di mafia. E successivamente, nel settembre del 1992, lo stesso Martelli mi ha rilasciato una delega a firmare direttamente i decreti di 41 bis quando ne avessi ritenuto l’opportunità, benché la firma del 41 bis sia di esclusiva competenza del Ministro. Sulla base di questa delega, il sottoscritto e il Dap da me diretto ha firmato senza intermediari 567 decreti 41 bis per detenuti di mafia”.

Con il successore di Amato, Giovanni Battista Conso, la battaglia dello Stato contro la mafia segna il passo.
“Conso ha cominciato a revocare i 41 bis solo quando sono stato allontanato. Nel novembre del 1993, lui ha revocato di colpo oltre un centinaio decreti 41 bis, d’accordo con i miei successori. Riassumendo: le revoche e le mancate proroghe del ministro avvengono dopo che sono andato via dal Dap.
Secondo Amato, a quell'epoca le istituzioni dello Stato hanno reagito con coraggio e dignità sia agli episodi legati al terrorismo politico sia alla violenta aggressione del terrorismo mafioso. Mentre la sua destituzione coinvolge persone che non spetta a lui individuare, pur macchiando irrimediabilmente le istituzioni.

“La forza della mafia è la forza di connivenze, connessioni sociali, economiche e politiche; nel libro sostengo che non si può combattere e sconfiggere tagliando i collegamenti fra criminalità, politica, economia e finanza”.


Ergo, la mafia è collegata inscindibilmente alla nostra società... 



giovedì 5 luglio 2012

Antonio Ingroia: l'Italia è un paese senza verità



Antonio Ingroia accusa l'Italia di essere un paese senza verità: "Credo che in un Paese normale di fronte a questa azione della Magistratura, il paese delle istituzioni e la società si stringerebbero attorno ai magistrati, li si sosterrebbe in questo compito difficile, anzi ciascuno cercherebbe di fare la propria parte. La politica dovrebbe occuparsene, accertando quello che alla politica tocca accertare rispetto al passato, la verità politica, la verità storica – politica. Non tocca alla Magistratura appurare la verità storica. La politica dovrebbe anche individuare responsabilità storiche e responsabilità politiche, non certo le responsabilità penali e invece questo in Italia non è avvenuto. Almeno fino a oggi non è avvenuto". 

Il famoso Magistrato parla sul blog di Beppe Grillo della sua esperienza di Magistrato, delle menzogne e dell'omertà intorno alle stragi di magia e accusa l'assenza di appoggio al lavoro della Magistratura da parte delle istituzioni, dello Stato.

"Noi siamo un Paese incapace di ricordare il proprio passato, di appropriarsene attraverso la verità, perché poi la verità è anche uno strumento per ricostruire il passato. È un Paese che rimane senza passato e senza memoria perché non ha verità sul suo passato, un paese che non può costruire nessun futuro".


Senza verità l'Italia non riuscirà mai a illuminare i suoi angoli bui, e senza la luce della chiarezza il nostro stato non potrà mai crescere.

"Perché questa Seconda Repubblica affonda letteralmente i suoi pilastri nel sangue di quelle stragi, in quella trattativa che si sviluppò dietro le quinte di quelle stragi.
 Non solo la politica non ha fatto questo, ma né dalla politica, né dal mondo dei mass media, il mondo dell’informazione è venuto un sostegno nei confronti della Magistratura, anzi queste iniziative di verità, di realtà giudiziaria ovviamente - non tocca alla Magistratura scoprire la verità storica - sono state accolte con freddezza, fastidio, a volte con ostilità come se questo Paese la verità non la volesse, come se ci fosse una grande parte del Paese che preferisce vivere in quell’eterno presente immobile senza conoscere le proprie origini, forse per la paura di scoprire qualcosa di cui vergognarsi nella propria vita."



Immobilità sterile o scomoda verità? 

L'Italia deve avere il coraggio di essere finalmente libera. Libera, una volta per tutte, dalla tela di cosa nostra potrà volare verso nuovi orizzonti.

martedì 3 luglio 2012

Reggio Emilia: In Terra Infidelium arriva a Libera




Lo spettacolo itinerante In Terra Infidelium ha fatto tappa anche a Reggio Emilia, coinvolgendo i cittadini in cinque storie di vita segnate da mafia e criminalità. Un sindaco, un professore, una taccheggiatrice e un evasore hanno raccontato la propria esperienza sulle note folk della fisarmonica di un brillante musico.


Presso il negozio Etico Libera in via IV Novembre l'aperitivo spettacolo è stato frequentato con entusiasmo, così come il successivo secondo appuntamento in via Roma in occasione del Festival Via Roma Viva, tradizionale kermesse di primavera per sostenere l'economia del quartiere.


Etico è un progetto unico in Emilia Romagna: commercializza beni che vengono prodotti sui terreni confiscati alle mafie e che sostengono, con la vendita, le Cooperative Sociali che nel sud Italia si oppongono alla cultura della criminalità organizzata, o prodotti delle Cooperative Sociali reggiane che attraverso un lavoro protetto e a valenza educativa riescono ad inserire persone svantaggiate nel mondo del lavoro, o prodotti che fanno parte del commercio equo e solidale che permettono una distribuzione più equa nei paesi in via di sviluppo.


Insomma, Etico è un negozio "BUONO", che come NoveTeatro, è dalla parte della legalità.